Ad un primo sguardo superficiale, comunione ordinaria e comunione instauratasi tra i coniugi in seguito al conseguimento del matrimonio, possono apparire come sostanzialmente identiche.
In realtà ci sono alcune profonde differenze che è bene conoscere prima di contrarre matrimonio scegliendo il regime di comunione dei beni, ma anche prima di costituire comunioni di beni e proprietà (per esempio per l’apertura di una società, piuttosto che per una comunione sussistente tra coeredi).
Cominciamo analizzando la comunione ordinaria.
I comproprietari godono del bene o dei beni che costituiscono la proprietà comune nella loro interezza, anche se in realtà sono proprietari di una sola quota, proporzionata al loro diritto (Cass. 19615/2012). Questo si traduce nella pratica, per esempio, con una difficoltà maggiore per addivenire addivenire alla vendita del bene oggetto di comproprietà. Se si vuole vendere la propria quota, infatti, il problema non sussiste, ogni proprietario può disporre della sua proprietà come meglio ritiene, salvo gli obblighi imposti dalla legge (quale il diritto di prelazione degli altri comproprietari) (Cass 2011/8092). Se invece si volesse vendere l’intero bene, e non solo la propria quota, è necessario il consenso di tutti i comproprietari, che costituiscono un’unica parte (). La mancanza della dichiarazione di consenso di uno di comproprietari, o la sua invalidità, causa la nullità del contratto.
A differenza della comunione ordinaria, nella comunione tra coniugi, innanzitutto, non esistono “quote”, marito e moglie sono solidalmente titolari del diritto di proprietà sui beni della comunione (Cass. 33546/2018). Questo significa che ciascun coniuge può disporre dei beni che costituiscono il patrimonio comune. In caso di disposizioni che prevedono opere di straordinaria amministrazione sui suddetti beni, il consenso dell’altro coniuge non ha il senso di “autorizzare” l’atto attribuendo il totale potere all’altro, come avviene in caso di comproprietà ordinaria, ma serve a rimuovere un limite all’esercizio del potere di una persona a cui si è legati da una presunta superiore fiducia (C. Cost. 311/1988).
La differenza evidente di questo presupposto teorico è che, se la vendita di un bene in comproprietà senza il consenso di tutti i comproprietari è nulla, come abbiamo precedentemente esposto, quella tra i coniugi è solo annullabile, intendendosi i coniugi legati da fiducia reciproca tale che l’atto voluto da uno non necessita obbligatoriamente del consenso dell’altro, ritenendosi presuntivamente “implicito” (Cass. 4890/2008) . I coniugi in regime di comunione dei beni rimangono sempre individuabili come litisconsorti necessari in ambito alle pratiche di straordinaria amministrazione