L’estensione fino al 2033 delle concessioni balneari è illegittima. Così si è espresso il Consiglio di Stato, confutando tutte le tesi dei balneari. Le spiagge dovranno essere riassegnate entro il 2023. L’estensione fino al 2033, decisa dal governo Conte, e segnatamente voluta dal Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali On. Centinaio, è risultata, a detta dei giudici, contraria al diritto europeo.
La sentenza a cui facciamo riferimento è la numero 18/2021. I giudici non hanno ridotto il prolungamento dal 2033 al 2023, badiamo bene, ma hanno dichiarato che le concessioni non sarebbero già valide sin d’ora, concedendo, tuttavia, all’amministrazione una soglia di due anni per rivalutarle. Nello specifico Il Consiglio di Stato stabilisce che “al fine di evitare il significativo impatto socio-economico che deriverebbe da una decadenza immediata e generalizzata di tutte le concessioni, nonché di tener conto dei tempi tecnici perché le amministrazioni predispongano le procedure di gara richieste e nell’auspicio che il legislatore intervenga a riordinare la materia in conformità ai principi di derivazione europea è concessa una proroga pari a due anni.” Dal 31 dicembre 2023, però, proseguono i togati “tutte le concessioni demaniali in essere dovranno considerarsi prive di effetto, indipendentemente se via sia o meno un soggetto subentrante nella concessione.”
Le tesi sostenute dagli imprenditori balneari sono state, quindi, tutte disattese. Non è stata infatti considerata la non scarsità della risorsa (in Italia abbiamo 7.914 km di territorio costiero), la non autoesecutività della direttiva europea Bolkestein (recepita dall’Italia nel 2010 ma mai oggetto di una legge nazionale applicativa della disposizione europea, che persegue l’obbiettivo di garantire la libera concorrenza sul mercato, danneggiando gli attuali titolari a vantaggio degli esclusi).
Il Consiglio ha anche disposto che nelle future gare d’appalto non vengano fissate condizioni volte ad avvantaggiare in alcun modo gli attuali concessionari (fatte salve la professionalità nel settore come semplice elemento da considerare, al pari di altri, in fase di valutazione).
Questa stretta di vite imposta dal massimo Tribunale Amministrativo, deriva dalle conflittuali pronunzie dei vari TAR e, soprattutto, dall’arrivo per l’Italia della lettera di messa in mora pervenuta dall’UE.
Il tema specifico, costola della discutissima direttiva Bolkestein, lascia ancora dei dubbi. I giudici hanno inserito un nuovo termine, di fatto al 2023, pur non avendo né un potere amministrativo, né tantomento, uno legislativo. Detto ciò il provvedimento è definitivo ed esecutivo.
Riuscirà a spingere la politica ad occuparsi, questa volta definitivamente, senza proroghe decennali, del problema che la Bolkestein ha disvelato nel nostro paese?