Che la Chiesa cattolica romana si sia pian piano sempre più allontanata dallo spirito di povertà che animava le prime congreghe di fedeli non è un mistero. I teologi pontifici, il mito della concessione di Costantino (conclamato falso storico) e le avversità contro i primi francescani (resi celebri dal romanzo “Nel nome della rosa” di Umberto Eco e dall’omonimo film che vede come protagonista l’indimenticabile sir Sean Connery) hanno contribuito a rendere la Chiesa di oggi ricca, potente, autonoma e indipendente.
Non bisogna mai dimenticare, infatti, che se la Chiesa non avesse un patrimonio proprio, sarebbe inevitabilmente al soldo dei potenti, contraddicendo il suo precipuo messaggio di umiltà e clemenza. Un patrimonio alla Chiesa, in altre parole, è necessaria affinché questa possa essere libera, autonoma e indipendente.
Fatta questa dovuta premessa, vediamo come il nostro Stato tratta il patrimonio della chiesa, molto del quale realizzato su suolo italiano (basti pensare alle numerosissime chiese, conventi, abazie, che, oltre ad essere immobili, rivestono un indiscutibile valore storico e culturale universale).
Innanzi tutto lo Stato Italiano riconosce e tutela i così detti enti ecclesiastici: con il riconoscimento questi acquistano personalità giuridica. Tra i requisiti per il riconoscimento vediamo: il preventivo assenso dell’autorità ecclesiastica, l’aver sede sul territorio italiano e avere fine religioso o, comunque, di culto. Competente per il suddetto riconoscimento è il Ministero dell’Interno, che autorizza l’iscrizione nello specifico registro presso le prefetture, e che può sempre revocarlo in caso di mutamenti sostanziali dell’ente. Gli enti ecclesiastici riconosciuti, oltre ad acquisire capacità giuridica (e quindi anche patrimoniale) godono di un regime fiscale agevolato, equiparabile a quello degli enti senza fine di lucro aventi ad oggetto la beneficenza o l’istruzione.
Ulteriori agevolazioni sussistono in quanto questi enti non vengono considerati produttivi di redditi fondiari o d’impresa, essendo esentati, quindi, dalle relative imposte. Se sono edifici di culto non pagano l’Imposta Municipale Propria (IMU). Gli enti non versano nemmeno le imposte su donazioni o lasciti ricevuti, e infine, vige l’impossibilità di esproprio e demolizione coatta degli edifici di loro proprietà (salvo, ovviamente, il consenso di questi ultimi).
Per quanto riguarda la manutenzione, sia ordinaria che straordinaria, degli edifici che vedano riconosciuto il valore storico, culturale o artistico, rientrano nelle competenze concorrenti tra Stato e Regioni ex art. 117 Cost. In particolare è compito delle regioni la valorizzazione degli edifici, è compito dello Stato tutelarne il patrimonio culturale.