Chiunque abbia avuto a che fare con la stesura di un contratto particolarmente complesso, come la vendita di un immobile, la costituzione di una società (nella parte sui conferimenti alla stessa), o altri, si sarà facilmente accorto che la stipulazione di un contratto è tutt’altro che cosa veloce e semplice. All’aumentare degli interessi in causa, aumentano anche le esigenze, le richieste di tutele reciproche e i tempi si allungano inevitabilmente. L’art. 1175 c.c. tutela la Buona fede dei contraenti e la reciproca correttezza che essi debbono tenere durante la contrattazione precedente alla stipula di un contratto. Parrebbe ingiusto, infatti, che dopo mesi e mesi di difficili trattative parziali e incomplete, una delle due parti trovasse un altro soggetto con cui concludere un nuovo contratto a lui più favorevole, lasciando la precedente controparte senza nulla in mano, dopo le spese e i sacrifici da questa sostenuta durante la contrattazione che si è rivelata poi infruttuosa non per sua colpa. Da qui il fondamentale problema: da quando si può considerare meritevole di tutela un contraente prima della stipula del contratto definitivo senza ledere la libertà di contrattazione con i terzi?
La giurisprudenza ha sostanzialmente definito le fasi della contrattazione. I primi risultati raggiunti dalle parti sono definite puntuazioni. Queste sono accordi su singoli aspetti, quindi incompleti e parziali che non danno origine a nessuna tutela tra i contraenti. I soggetti legati da semplici puntuazioni, infatti, possono tranquillamente provare a intrattenere plurime contrattazioni aventi lo stesso oggetto senza perciò considerarsi contrari a buona fede, poiché il futuro possibile contratto è ancora in una fase troppo embrionale perché nelle parti possa nascere una fondata aspettativa alla sua conclusione.
Il passo successivo è la stipula di un preliminare, ovvero di un contratto volto a garantire la futura conclusione del contratto definitivo. Anche l’accordo preliminare è un negozio incompleto e parziale, che ancora non può dirsi compiuto, ma, per essere considerato tale, deve contenere tutti gli elementi fondamentali del contratto definitivo, escludendone solo le clausole secondarie e minori. Proprio perché i punti fondamentali del futuro contratto definitivo sono stati raggiunti, il legislatore ha deciso di tutelare tali contraenti.
In caso di preliminare di preliminare, ovvero nel caso in cui ad un accordo preliminare non sia susseguito un contratto definitivo, ma un ulteriore preliminare, una recente sentenza della Cassazione, ribadendo un già noto orientamento, ha precisato che il preliminare di preliminare può dirsi valido se non sia una mera fotocopia l’uno dell’altro ma «emerga la configurabilità dell’interesse delle parti a una formazione progressiva del contratto basata sulla differenziazione dei contenuti negoziali e sia identificabile la più ristretta area del regolamento di interessi coperta dal vincolo negoziale originato dal primo preliminare» (Cass 7268/2019). Nella prassi, rileva la Corte, può capitare che le parti decidano di sospendere più volte la contrattazione per compiere opportune verifiche e controlli.
In sostanza, tutte le volte che la formazione progressiva del contratto ha senso, i documenti che si firmano sono vincolanti; se si compiono, invece, attività inutili e delatorie, la legge non può tutelarle.