L’inclusione a favore dei diversamente abili è stata trattata in modo diverso nelle diverse epoche sociali.
In Italia, primi fra tutti, furono i fascisti ad occuparsi della questione, istituendo i professori di sostegno a favore dei minori disabili sia a livello psichico che fisico. Prima della riforma gentiliana, infatti, questi erano esclusi dal sistema di istruzione nazionale e lasciati semplicemente a carico della famiglie di origine.
Il sistema fascista, tuttavia, era orientato verso una scuola classista e fortemente differenziata a seconda delle capacità dei vari studenti, e, in forza di ciò, i disabili, pur accolti, erano marginalizzati e separati dagli altri ragazzi.
Dovremmo aspettare la Costituzione e poi la sua applicazione per approcciarci ad una scuola integrativa nei loro confronti.
Ma degli anni ‘90 in poi si è anche pensato di superare il concetto di “integrazione”, evolvendosi verso una scuola dell’“inclusione”. Una scuola dove sia l’Istituzione a doversi adattare ai disabili, e non il contrario, non il disabile e la sua famiglia. Questa evoluzione culturale non ha lambito solo la scuola, ma tutti i settori pubblici: ad esempio, il contrasto alle barriere architettoniche, l’imposizione di parcheggi destinati ai disabili, quote nei concorsi pubblici riservati e altri.
Nella scuola, in particolare, si è parlato di Bisogni Educativi Speciali (B.E.S.).
Il docente di sostegno e la predisposizione di piani educativi dedicati non solo ai disabili certificati (come autistici, deficitari nella mobilità, e altre patologie certificabili dall’A.s.l.) ma anche ad altre tipologie di disabilità nuove o comunque non certificabili.
Parliamo innanzitutto delle così dette patologie D.S.A (come dislessia, distortografia, discalculia) riconosciute in Italia solo dal 2010, patologie che non permettono una completa autosufficienza nell’apprendimento, poiché si sviluppano difficoltà sulle attività che servono per la trasmissione della cultura come, ad esempio, la lettura, la scrittura o il far calcoli.
Altre problematiche oggi riconosciute, poi, esorbitano dalla sfera strettamente sanitaria, riconoscendosi fra gli svantaggi anche quelli economici o sociali.
Le scuole possono creare specifici corsi per l’insegnamento della lingua italiana agli immigrati, sia maggiorenni che minorenni, possono affiancare interpreti o mediatori culturali agli studenti stranieri…
Possono avere uno specifico ausilio, poi, anche i minori che vivono in determinati ambienti socio-economici particolarmente svantaggiati, sempre in accordo con le famiglie o le Autorità competenti.
In definitiva, dopo anni in cui il deficit era nascosto e poi, a stento, sopportato dalla società, siamo entrati in un epoca culturale che prova a includere, avvantaggiare il disabile dove questi è stato svantaggiato dalla natura stessa.
Non ci resta che dare il nostro contributo a tale progresso di civiltà.