Poco conosciuto ai più, sulla bocca di tutti in questo periodo. Il Fondo salva Stati è al centro del dibattito politico quando si parla di come accedere ai finanziamenti europei per la gestione della pandemia. Alcuni paesi, i più colpiti dal morbo (in testa Italia, Spagna e Francia) vorrebbero l’introduzione dei così detti “Corona-bond”, ovvero nuovi titoli di Stato emessi e garantiti dall’Unione Europea. Altri Stati, in testa Olanda e Germania, sono invece favorevoli all’impiego del MES, riconoscendo, però, la possibilità di ritrattare le condizioni restrittive normalmente consequenziali all’accesso a tale fondo.
Ma vediamo allora cosa sia questo strumento.
A livello “storico”, il Meccanismo Europeo di Stabilità nasce nel 2012, dopo una lunga trattativa con l’UE, guidata per la parte italiana dal governo Berlusconi, e sottoscritto dal successivo governo Monti, con l’obbiettivo di fornire sostegno ai paesi a rischio recessione.
Fino ad oggi l’Italia, dopo Germania e Francia, è risulta il maggior contribuente del fondo, a cui hanno acceduto Cipro, Spagna, Irlanda e, ovviamente, la Grecia.
In queste situazioni il MES, al fine di mantenere la stabilità finanziaria nel vecchio continente, ha, in effetti, concesso prestiti agli stati richiedenti, sulla base di condizioni piuttosto rigide.
Il Mes, dal punto di vista giuridico, è un’istituzione finanziaria internazionale che trova il, suo fondamento nel Tfue (Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea) o Trattato di Lisbona o meglio da una sua modifica introdotta nel 2011; è un’organizzazione internazionale, a carattere regionale, è dotato di personalità giuridica, soggetto di diritto internazionale, con sede a Lussemburgo.
All’art. 3 del Trattato istitutivo del MES è precisato che la richiesta di accesso può essere avanzata dallo Stato in crisi che abbia adottato come moneta l’Euro. A questo punto il MES richiede alla Commissione UE e alla Banca Centrale Europea una valutazione effettiva della crisi che ha colpito il Paese richiedente, con la quantificazione del prestito, e di valutare il “rischio contagio” della crisi per gli altri Stati membri. La fase successiva, che solitamente avviene entro una settimana, conclude la procedura, sostanziandosi nella concessione del prestito. Le relative votazioni sono caratterizzate da immunità giudiziaria e sono proporzionali alla quota versata da ciascuno Stato.
Inoltre lo Stato richiedente, per vedere accolta la sua stessa domanda, deve sottoscrivere con la Commissione Europea un Protocollo d’Intesa ( Memorandum of Understanding), ed è proprio qui che solitamente si riscontrano le condizioni più dure per il paese richiedente. Con la minaccia di non concedere il prestito, infatti, sono stati costretti i Paesi istanti ad imporre durissime riforme fiscali, caratterizzate da cospicui tagli alla spesa pubblica, e parallelamente, un ingente aumento delle entrate attraverso privatizzazioni o incrementi della tassazione.
Dal 2017, ben prima della pandemia, si è acceso un forte dibattito sulle condizioni che gravano sullo Stato richiedente l’accesso al fondo, giudicato da molte parti troppo restrittive, rendendo di fatto molto rischioso accedere al prestito. Tra queste segnaliamo: non essere in procedura d’infrazione, deficit inferiore al 3% annuo negli ultimi due anni e un rapporto debito/PIL sotto il 60% (per intenderci, in questo stato di crisi, il rapporto deficit/PIL italiano è stimato in circa 155,5%, secondo le recenti osservazioni FMI).
Al momento la ridiscussione delle condizioni del MES è stata sospesa per affrontare l’emergenza Corona Virus, ma in vista della gestione della così detta Fase 2, ovvero il rilancio economico di molti paesi europei colpiti duramente dalla pandemia, affrontare la crisi Covid-19 e la ridiscussione sulle fondamenta del MES potrebbero intrecciarsi irrimediabilmente.