Spesso la concorrenza sleale provoca invidia, senso di rivalsa e voglia di giustizia. Gli stessi sentimenti spesso si attivano anche laddove veniamo maltrattati, magari dal commerciante al quale ci siamo rivolti e che pure non ci ha fatto lo scontrino. D’altronde, il pagamento delle tasse è cosa che sta antipatica a tutti, ma per alcuni classi di lavoratori esse sono davvero obbligatorie, a causa dei prelievi diretti in busta paga, per altri lavoratori, come i liberi professionisti, invece, esse sembrano facoltative (il classico caso dell’idraulico o del dottore che propongono due parcelle, con o senza fattura). E poi ci sono gli evasori totali: immaginiamo chi esegua massaggi a domicilio magari senza alcun titolo idoneo, facendo concorrenza ai fisioterapisti che hanno pagato gli studi per l’ottenimento della qualifica ed hanno le spese fisse per il mantenimento dello studio secondo la normativa vigente, oltre che le tasse che gravano sulla loro partita IVA.
Ma i casi simili purtroppo sono molti: si pensi a chi offre ripetizioni a domicilio, sottraendo clienti hai centri doposcuola privati, in regola, che in più hanno i costi fissi della propria impresa, o i venditori ambulanti abusivi che vendono frutta sui camion, danneggiando il negoziante che pure paga tutte le imposte a lui dovute, idonee a coprire le spese per i bisogni collettivi (manutenzioni stradale, ospedali, sicurezza, scuola…), che tra l’altro utilizzano anche gli abusivi.
È possibile che questi onesti lavoratori debbano sobbarcarsi tali difficoltà e non possano fare nulla nei confronti della concorrenza disonesta e sleale?
La risposta è ovviamente negativa.
Tuttavia il primo ostacolo che si avverte in tale ambito è che esposti o segnalazioni ufficiali, idonee a far partire gli accertamenti della GdF non possono essere anonimi. Il denunciato, infatti, ha sempre il diritto di conoscere le accuse che gli sono mosse e il soggetto dalla quale provengono, per garantire i suoi diritti di difesa. Tale principio vale in ambito penale ma anche in ambito tributario. Una segnalazione anonima, comunque, è sempre possibile, e può far partire le indagini laddove gli inquirenti la valutino, a loro discrezione, fondata e quindi meritevole di ulteriori accertamenti. In questo caso il procedimento eventualmente iniziato, si direbbe “d’ufficio”, ovvero iniziato dall’ufficio degli investigatori per valutare la fondatezza della notizia di evasione fiscale e non da una denuncia. Tale procedura è comunque limitante per le forze dell’ordine, siano esse Guardia di Finanza o Agenzia delle Entrate. Nello specifico essi non potranno presentarsi a casa dell’indagato per eseguire indagini, ottenere documenti, effettuare confische o sequestri.
Il motivo è molto semplice: si vuole togliere il potere, in mano agli inquirenti, di indagare con i mezzi più invasivi, e anche umilianti, su qualunque soggetto essi decidano liberamente di “controllare”. Se invece vi è una denuncia, esposta da un soggetto che “ci mette la faccia”, si dà più credibilità alla notizia del compimento di un illecito, e, quindi, tali mezzi indagatori maggiormente turbanti per chi li riceve, sono motivati. In altre parole, come sostenuto dalla Corte di Cassazione nella sentenza 20096/2018 “L’accesso domiciliare è consentito solo se ricorrono gravi indizi di violazione delle norme tributarie.”I Supremi Giudici hanno ritenuto la segnalazione anonima un mero indizio, non equiparabile nemmeno ad una prova presuntiva. Quindi tra la stessa segnalazione e l’accesso ai locali in cui il denunciato opererebbe in nero, o dove custodirebbe i soldi frutto della sua attività non in regola, o le scritture contabili da queste derivate, che poi risulta il principale mezzo d’indagine per accertare tali tipologie di illeciti, devono esservi altre ulteriori ed approfondite indagini.