In un precedente articolo, che vi consigliamo di andare a recuperare se foste interessati all’argomento, intitolato “il fenomeno delle baby gang americane”, abbiamo analizzato il caso della bande delinquenziali minorili tipico della realtà americana e latina, dalle quali proviene anche il termine di baby gang. Tale appellativo spesso compare anche sui nostri giornali, usato per descrivere i gruppi di minorenni violenti e criminali che agiscono sul nostro territorio.
Lo scopo del presente articolo è capire se anche nella nostra realtà nazionale possa effettivamente parlarsi di “baby gang” dall’impronta americana e se debba realmente parlarsi di emergenza, emergenza che invece si registra in tali paesi.
Infatti, avendo chiarito cosa si intenda per “baby gang”, risulta più facile cogliere le differenze con la nostra criminalità minorile, come risulta da quelle poche ricerche condotte sulla realtà italiana. In Italia assistiamo, soprattutto, a giovani annoiati che cercano un modo per impiegare il loro tempo e che possa divertirli. In tali gruppi è assente una qualsiasi prospettiva ideologica, culturale o “contro culturale”, che, infatti, non viene espressa attraverso uno specifico sistema di comunicazione; si tratta di ragazzi che non comunicano né con l’uso di simboli, né attraverso i canali tradizionali riconosciuti e condivisi dagli adulti (come la parola o la scrittura), né con la musica, il ballo o i graffiti. Il loro linguaggio è quello concreto dell’azione. Un oggetto ne monopolizza il mondo affettivo fino ad assumere la funzione di un feticcio: può essere il motorino o la squadra del cuore, ma, comunque, è un oggetto carico di significati affettivi.
I gruppi sarebbero costituiti, in genere, da compagni di scuola, ragazzi cresciuti nello stesso quartiere e che, abitualmente, si incontrano nello stesso ritrovo. Spesso la gravità e l’antigiuridicità dell’atto da loro commesso viene ignorata o sottovalutata. “E’ come se il reato nascesse improvvisamente senza una reale progettazione o riflessione” spiegano i due studiosi Maggiolini e Riva. Confermano l’ipotesi della sottovalutazione delle conseguenze del reato da parte dei minori i dati direttamente raccolti durante le indagini compiute dagli organi di Polizia giudiziaria. Dagli interrogatori emerge che ben il 42,6% dei ragazzi colpevoli di reati di gruppo risponde alla polizia senza ammettere le proprie responsabilità, palesando di non aver capito quale sia il problema, non comprendendone le conseguenze lesive sulla vittima. Il 38,5%, invece, ammetterebbe le proprie responsabilità, crollando e rivelando le proprie fragilità una volta “estratto dal gruppo”. Il 16,5%, invece, chiamerebbe in causa terzi, cercando di rifugiarsi ancora nel gruppo, anche per alleggerire le proprie colpe, e solo il 2,4% si avvarrebbe della facoltà di non rispondere. Anche le azioni ripetute vengono interrotte più che dalla volontà dei ragazzi, da cause esterne quali l’essere sorpresi in flagrante da un adulto o da conseguenze gravi e impreviste che coinvolgono un componente del gruppo o la loro vittima. Lo sostiene la dottoressa Saottini che evidenzia come anche le azioni ripetute dal gruppo nascono sempre improvvisamente, come se obbedissero ad un “impulso irresistibile”, più che essere predeterminate.
Rispetto alla “baby gang” americane è diversa non tanto l’organizzazione interna del gruppo, quanto, piuttosto, l’assenza di un’attività specifica cui il gruppo si dedica, la mancanza del senso di rivalità verso altre bande e l’assenza del controllo di un territorio. La maggior parte dei minori italiani facenti parte di gruppi criminali presentano gravi problematiche socio-familiari, culturali, economiche e di marginalità. I ragazzi si raggruppano per finalità devianti in una determinata circostanza, ma non tendono a formare una struttura organizzata stabile al fine di commettere reati. E’ ipotizzabile che in tali casi i minori provengano dallo stesso territorio e abbiano storie e caratteristiche simili; ciò che non è presente è proprio l’identità di gruppo definita, né emerge un sistema di controllo economico e territoriale. I reati commessi da questo tipo di gruppo hanno come oggetto prevalentemente il patrimonio o sono legati allo spaccio di stupefacenti. In questi casi sono presenti forme di devianza legate a condizioni di povertà economica e, soprattutto, sociale e relazionale, diffuse prevalentemente al sud.
Si registrano nuovamente, inoltre, forme di devianza collegate anche a situazioni di marginalità degli spazi urbani: è il ritorno dei così detti ragazzi di periferia, soprattutto abitanti delle case popolari, come in particolare si evidenzia nell’hinterland milanese e nelle periferie di altre grandi aree urbane del Paese. Quello che la stampa ha chiamato “baby gang italiane” si riferisce, in realtà, ad un fenomeno diverso da quello americano e diverso anche da quello italiano prevalente da noi appena descritto.
Infatti, la stampa si riferisce a gruppi che sono formati da ragazzi di ceto sociale medio-borghese, i quali si aggregano, anche occasionalmente, al fine di commettere rapine o piccole estorsioni, in particolare, ai danni di coetanei e di persone deboli, molto spesso portatori di handicap fisici o mentali (ultimo caso che fece molto scalpore in Italia fu l’aggressione di Manduria, nella quale, nel 2019, un gruppo di 9 minorenni si accanì per giorni su un disabile psichico di 53 anni, che morì in seguito alle sevizie). Questo tipo di raggruppamento è composto da membri che non hanno gli stessi problemi socio-economici dei precedenti gruppi maggioritari in Italia da noi analizzati. Non hanno specifiche o particolari problematiche e si aggregano abitualmente intorno ad attività lecite ma, occasionalmente, compiono reati, anche violenti. In tali casi l’attività criminosa non costituisce l’elemento fondamentale per l’aggregazione del gruppo, né è visibile una struttura organizzata di controllo e uso di risorse. Questi soggetti risultano essere un’espressione del “malessere del benessere”: giovani appartenenti al ceto medio, talvolta ampiamente scolarizzati. II fenomeno è evidenziato per lo più al Nord. In realtà si tratta di un benessere quasi esclusivamente materiale, legato al possesso di beni voluttuari, che mostra, di fronte ai momenti di crisi dei ragazzi, la fragilità del loro stato di benessere psicofisico. I reati commessi sono spesso legati al possesso di beni effimeri e all’accesso ai divertimenti. Violenze sessuali di gruppo tra pari sembrano assumere significati simbolici di autoaffermazione, di ricerca di senso e di comunicazione, seppure in forme estreme, evidenziando l’incapacità a riconoscere l’altro come soggetto, in un vuoto esistenziale e relazionale che genera malessere e distruttività. E’ questo il caso in cui il reato assume funzione più “espressiva” che “strumentale”. Per reato con fini strumentali si intende un reato funzionale all’ottenimento di un’utilità per soddisfare un bisogno oggettivo. Nel caso dei reati espressivi, invece, non si mira a raggiungere un fine, ma a comunicare qualcosa agli adulti, utilizzando mezzi non appropriati, quasi sempre istintivi, come la violenza, perché il ragazzo non è stato adeguatamente educato per controllare le sue pulsioni e comunicare le proprie emozioni e bisogni.
In tutti i casi italiani sembrano essere assenti reati tipicamente riconducibili alla baby gang americane. Tale delinquenza, infatti, a differenza di quella italiana, si connota soprattutto per la presenza di reati ricorrenti quali il favoreggiamento e la ricettazione. Molto comuni anche le figure dei mandatari, che si servono della criminalità minorile per il raggiungimento dei propri scopi illeciti, in Italia praticante assenti. Nel nostro Paese, inoltre, l’uso delle armi (sia bianche ma soprattutto da fuoco) è praticamente assente, mentre in America risulta essere diffusissimo tra le gangs. Ciò non solo perché la legislazione italiana in materia è più restrittiva ma anche perché le azioni devianti commesse dai minori non necessitano di livelli di violenza tali da giustificare l’utilizzo delle armi.
La gerarchia dei ruoli, l’uso delle armi, una struttura rigida, una modalità associativa più selettiva, il controllo del territorio sono tutti aspetti poco rappresentati nella tipologia dei gruppi descritta e analizzata nelle varie ricerche italiane. Un altro fenomeno ancora diverso sia rispetto alla delinquenza di gruppo compiuta in Italia, sia da quella dalle famigerate baby gang statunitensi è denunciata dall’ex Prefetto di Palermo Ambrosini. Il Prefetto sostiene che nel sud Italia stanno crescendo le aggregazioni minorili di stampo mafioso o camorristico, direttamente collegate e protette dalle varie famiglie della criminalità organizzata. Il Procuratore della Repubblica dott. Biscegli e il Presidente del Tribunale di Bari dott. Occhiogrosso, sostengono letteralmente che “i ragazzi respirano […] un’aria inquinata di mafiosità”. Per fare un esempio, il furto di un ciclomotore, un tempo perpetrato semplicemente ai fini d’uso, oggi diventa il mezzo per compiere un’estorsione ai danni del proprietario.
I gruppi di minori italiani che infrangono le regole si manifestano quindi con caratteristiche e modalità proprie e originali rispetto a quelle riscontrate nel modello delle baby gang. Per quanto riguarda le baby gang un discorso del tutto diverso, come ricorda la dottoressa Mariani, è doverosamente da fare per gli stranieri, soprattutto in un periodo di cospicua immigrazione come quello che stiamo vivendo. Spesso in Italia, infatti, vengono importate direttamente baby gang straniere che continuano a vivere nel nostro territorio, cercando nuovi membri soprattutto tra gli abitanti delle comunità di stessa nazionalità. Sono vere e proprie gangs di stampo americano, restano divise dalle aggregazioni autoctone fin qui descritte e sono composte da immigrati di prima e seconda generazione, secondo le modalità e con le caratteristiche associative della cultura del loro Paese. Spesso hanno violenti riti di iniziazione, tatuaggi che sanciscono l’appartenenza alla gang, gerarchia interna ben strutturata e un leader al quale ubbidire. Sono legati a obblighi di fedeltà verso la banda, aggrediscono altri gruppi per il controllo del territorio nel quale gestire le proprie attività spesso illecite, soprattutto lo spaccio di stupefacenti, in maniera analoga a quello che accade nei quartieri delle metropoli americane. Anche in Italia queste bande gravitano nelle aree metropolitane e riprendono i loro nomi e le loro attività dalle analoghe bande delle metropoli americane. Possiamo così trovare gli equadoregni Latin King, i peruviani Commando, i salvadoregni Mara Salvatrucha, i messicani dell’MS-18, i Soldatos Latinos, tutti gravitanti soprattutto tra Milano, Genova, Torino, Roma e Palermo.
Nonostante i nomi e le dichiarate fonti di ispirazione dalle violente bande d’oltre oceano, questi non hanno raggiunto un livello di violenza e pericolosità comparabili a quelle, anche a causa del numero ancora esiguo di stranieri che le compongono. Compiono soprattutto furti o rapine di oggetti simbolici di altre bande, grafiti sui muri, atti vandalici, risse, rapine, estorsioni e violenze sessuali ai danni delle ragazze legate ai gruppi avversari. Aggressori e vittime risultano così quasi sempre legati prima del reato. Resta comunque un fenomeno preoccupante da tenere sotto controllo.
Bibliografia
- A. MAGGIOLINI, E. RIVA, Adolescenti trasgressivi. Le azioni devianti e le risposte degli adulti, Milano, 2003, Franco Angeli, pp. 9 e ss.
- G. VETTORATO, La devianza giovanile in Italia negli ultimi 20 anni, in G. VETTORATO, F. GENTILI, Educare in un mondo che cambia, Roma, 2010, Federazione Nazionale SCS/CNOS, p. 21
- CALVANESE, BIANCHETTI, La delinquenza minorile di gruppo: dati di una ricerca presso gli uffici giudiziari di Milano, in Cassazione penale, 2005, p. 1419.
- E. MARIANI, La criminalità minorile di gruppo nel distretto di Milano tra il 1997 e il 2005, in Minorigiustizia, 2005, fascicolo 4, pp. 5
- C. SAOTTINI, Gruppo e banda l’intervento con adolescenti che commettono reati, relazione presentata al Convegno “Più o meno 16. Convegno sulla adolescenza”, organizzato dall’Associazione Minotauro, dalla Provincia di Milano e dal Provveditorato agli Studi di Milano, Milano, 1999.