Niente più mantenimento alla moglie che convive more uxrio.

in Diritto di Famiglia

L’articolo 5 della legge 889/1970 regolamenta il diritto ad ottenere, in favore dell’ex-coniuge economicamente più debole, un assegno dal coniuge divorziato più abbiente.

Per stabilire la portata di tale assegno, la legge elenca una serie di criteri che devono guidare il giudice nella quantificazione definitiva dello stesso a seconda del caso concreto, quali: le condizioni economiche dei coniugi, le ragioni che hanno portato al divorzio, il reddito di entrambi, il contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio comune, valutando tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio.

La ratio della norma è chiara: favorire il mantenimento del coniuge debole che subisce il divorzio, al fine di preservarlo dall’inevitabile peggioramento economico che ne deriva. La norma, tuttavia, fu elaborata in un contesto sociale completamente diverso da quello attuale (la fine degli anni ‘60), un contesto nel quale le donne che lavoravano erano molto rare, e, quindi, potevano definirsi soggetto non emancipato, economicamente debole, per cui era necessario un sistema giuridico di favore. Oggi l’indipendenza della donna è un dato di fatto assolutamente pacifico e, seppur ci sia ancora molto da fare per il raggiungimento dello stesso grado di occupazione e retribuzione maschile, sembra stridere con i tempi il concetto, esposto nella norma, che possa esserci ancora una parte debole in un matrimonio, che debba essere protetta, quando oggi, sostanzialmente, entrambi i coniugi hanno pari, seppur diversificate, capacità lavorative. Un segno della chiara vetustà della norma deriva dal comma 8 dello stesso art. 5 che cita letteralmente: “L’obbligo di corresponsione dell’assegno cessa se il coniuge, al quale deve essere corrisposto, passa a nuove nozze.” Pare evidente che, in una società nella quale è oramai accettata anche la convivenza more uxorio in luogo al matrimonio, e nella quale anzi, i matrimoni sono in forte calo, rischia di verificarsi un approfittamento del “coniuge debole” ai danni del “coniuge forte”. Ulteriore anacronismo si può constatare in considerazione della tutela legale e giuridica sempre maggiore che le coppie così dette di fatto, hanno trovato nel nostro sistema, fino all’introduzione della legge 76/2016, “detta Cirinnà” sulle convivenze di fatto e le unioni civili. Fino a poco tempo fa, in totale contraddizione con l’attuale sensibilità sociale e giuridica fin qui analizzata, il coniuge “forte” era ancora obbligato a continuare a versare gli assegni di mantenimento anche se l’ex-coniuge si fosse rifatto una vita, ma senza sposarsi.

Per riequilibrare la situazione, interpretando la norma con criteri a noi più contemporanei, a fronte del silenzio del legislatore, è intervenuta la giurisprudenza. Un orientamento recente ma già assolutamente consolidato della Cassazione, infatti, sostiene che la convivenza di fatto instaurata dell’ex coniuge con nuovo compagno faccia cessare il diritto a percepire l’assegno divorzile. Nello specifico «L’instaurazione da parte del coniuge divorziato di una nuova famiglia, ancorché di fatto, rescindendo ogni connessione con il tenore ed il modello di vita, caratterizzanti la pregressa fase di convivenza matrimoniale, fa venire definitivamente meno ogni presupposto per la riconoscibilità dell’assegno divorzile a carico dell’altro coniuge, sicché il relativo diritto non entra in stato di quiescenza ma resta definitivamente escluso». (Cass, Ord.5974/2019)

L’onere della prova della nuova convivenza dell’ex-coniuge viene posto a carico del Coniuge “forte”, ovvero il richiedente l’interruzione del versamento degli assegni.