L’introduzione della riforma del condominio con la Legge 220/2012 ha segnato una svolta importante nella disciplina condominiale, in particolare in materia di detenzione di animali domestici. L’articolo 1138 del Codice civile, così come riformulato, stabilisce chiaramente che il regolamento condominiale non può vietare ai condomini di possedere o detenere animali domestici.
Negli anni, la giurisprudenza ha avuto modo di chiarire l’ambito applicativo di questa disposizione, evidenziando le implicazioni per i regolamenti condominiali preesistenti e per quelli di natura contrattuale. In questo articolo analizzeremo la questione alla luce della più recente giurisprudenza, soffermandoci su un caso emblematico deciso dal Tribunale di Cagliari (sentenza n. 134/2025), che ha dichiarato nulla una clausola regolamentare che vietava la detenzione di animali nel condominio.
Nel caso sottoposto all’esame del Tribunale di Cagliari, un condomino ha convenuto in giudizio l’intera compagine condominiale, impugnando l’articolo 7 del regolamento che vietava la detenzione di animali domestici.
Un aspetto peculiare della vicenda è stata la modalità di notifica del ricorso. Dato il numero elevato di condomini e le difficoltà nell’identificarli tutti (in parte per l’anagrafica non aggiornata fornita dall’amministratore, in parte per la continua variazione dei titolari delle unità immobiliari), il ricorrente ha ottenuto l’autorizzazione a procedere con notifica per pubblici proclami.
La validità di questa modalità notificatoria è stata confermata alla luce della giurisprudenza della Corte di Cassazione (Cass., ord. n. 22782/2019), secondo cui nei procedimenti che coinvolgono intere categorie di soggetti, il contraddittorio può ritenersi correttamente instaurato anche quando le notifiche non individuano nominativamente tutti i destinatari, purché questi siano identificabili sulla base della loro posizione giuridica.
La questione ruota attorno al comma 5 dell’art. 1138 c.c., introdotto dalla riforma del 2012, che recita:
“Le norme del regolamento non possono vietare di possedere o detenere animali domestici.”
Prima della riforma, la giurisprudenza era concorde nel ritenere che un divieto del genere potesse essere legittimamente inserito solo nei regolamenti di natura contrattuale, ovvero quelli approvati all’unanimità o predisposti dal costruttore e accettati dai singoli acquirenti al momento dell’acquisto (Cass., sent. n. 12028/1993; Cass., sent. n. 3705/2011).
Con la riforma, il legislatore ha inteso superare questo orientamento, stabilendo un principio di ordine pubblico volto a tutelare il diritto dei singoli a detenere animali domestici, a prescindere dalla volontà maggioritaria o da pattuizioni contrattuali.
Di conseguenza, anche i regolamenti condominiali di origine contrattuale sono da considerarsi in contrasto con la norma e pertanto affetti da nullità, poiché ledono un diritto ritenuto indisponibile.
Questa impostazione trova ulteriore conferma nell’articolo 155 delle disposizioni di attuazione del Codice civile, il quale prevede che:
“Cessano di avere effetto le disposizioni dei regolamenti di condominio che siano contrarie alle norme richiamate nell’ultimo comma dell’articolo 1138 del codice.”
Un aspetto dibattuto è se le clausole regolamentari che vietano la detenzione di animali domestici siano da considerarsi nulle (per contrarietà a norme imperative) o semplicemente inefficaci per illiceità sopravvenuta.
Secondo un’interpretazione rigorosa, queste clausole sarebbero affette da nullità assoluta, in quanto contrastano con una norma di ordine pubblico che tutela un diritto soggettivo indisponibile. La nullità, ex art. 1418 c.c., avrebbe effetto erga omnes, consentendo a qualsiasi condomino di chiederne la declaratoria senza limiti di tempo.
A conferma di questa tesi, la Corte di Cassazione (Cass., sent. n. 21307/2017) ha stabilito che qualsiasi limitazione ai diritti individuali dei condomini sulle loro proprietà esclusive deve avere una giustificazione normativa o contrattuale valida. La nuova normativa impedisce tale giustificazione, rendendo nullo il divieto.
Un’altra corrente giurisprudenziale ritiene invece che le clausole regolamentari preesistenti alla riforma non siano nulle, ma semplicemente diventate inefficaci a partire dall’entrata in vigore della legge del 2012.
Questo approccio trova fondamento nel principio della irretroattività delle norme (art. 11 delle Preleggi), per cui la nuova disciplina non potrebbe intaccare la validità di pattuizioni contrattuali stipulate in precedenza.
Tuttavia, questa impostazione appare minoritaria, in quanto contraddice il tenore dell’art. 155 disp. att. c.c., che sancisce espressamente la cessazione di efficacia delle disposizioni contrarie alla normativa vigente.
Alla luce di queste premesse, il Tribunale di Cagliari ha dichiarato nulla la clausola del regolamento che vietava la detenzione di animali, con la conseguente rimozione del divieto e la possibilità per il ricorrente di tenere il proprio cane nel condominio.
La decisione si allinea all’orientamento che considera queste clausole affette da nullità assoluta, poiché contrastano con una norma imperativa di ordine pubblico.
L’evoluzione normativa e giurisprudenziale ha ormai consolidato il principio per cui nessun regolamento condominiale può vietare la detenzione di animali domestici.
Tuttavia, ciò non significa che il diritto di tenere un animale sia assoluto e insindacabile. Restano infatti fermi i limiti generali imposti dalla convivenza condominiale, come il divieto di immissioni moleste (art. 844 c.c.) o di attività pericolose per la sicurezza e l’igiene del condominio.
Dunque, sebbene un regolamento non possa vietare la presenza di animali, il proprietario deve comunque rispettare le regole di buon vicinato, garantendo che l’animale non arrechi disturbo o danno agli altri condomini.