Al di là dei pregiudizi e dei luoghi comuni, come tutte le professioni anche i legali meritano una giusta retribuzione. L’avvocato è quasi un “tecnico”, un consigliere legale che assiste una persona che abbia dubbi o pretese che non sa come tutelare. L’avvocato fornisce i mezzi per tutelare i diritti della persona, diritti che non sarebbero altrimenti tutelati da nessuno, quindi sarebbe come se non esistessero.
La professione legale, inoltre si definisce “di fine”, e non “di risultato”, questo significa che se l’avvocato si è ben applicato, è stato competente, fedele alle ragioni del cliente, abbia agito con correttezza e attenzione professionale, ma abbia perso la causa, deve essere retribuito così come meriterebbe un compenso se la avesse vinta. Chiunque abbia una minima esperienza con la legge sa benissimo di quanto il bianco e il nero nella realtà non esistono. Qual’è la differenza tra un magazzino e una discarica, tra una molestia ed un apprezzamento, qual’è il confine dimostrabile tra il dolo e la colpa? Un bravo avvocato deve riuscire a dimostrare l’evento più favorevole al suo assistito, ma poiché spesso si tratta di sfumature, e poiché decide sempre un terzo, il giudice, niente può assicurare al cliente la vittoria a priori. E in caso di sconfitta, dicevamo, l’avvocato ha comunque lavorato, con dedizione e impegno, pertanto merita una giusta retribuzione, al pari del medico che combatte per salvare la vita al paziente, ma, nonostante questo, muore. Tra l’altro, similarmente al medico, anche l’avvocato a sostenuto costosi e lunghi studi, mediamente ha cominciato a percepire retribuzione in età avanzata, deve mantenersi lo studio, sostenere continui aggiornamenti…
Fatta questa doverosa e amplia premessa veniamo al punto: la giusta retribuzione.
Il legislatore del 2012, mosso dagli intenti di tutelare l’assistito, ha cercato di rendere, per legge, più trasparente il preventivo dell’avvocato. Innanzitutto questo deve essere pattuito per iscritto con il cliente al momento del conferimento dell’incarico (oltre al rimborso delle spese quantificabili sono ex post e debitamente documentabili). Si vieta nuovamente il così detto patto “quota lite”, con il quale parte e legale si accordano su una percentuale in caso di vittoria della causa (questo per evitare che l’avvocato diventi parte della causa, e non più professionista in assistenza alla parte, a preservare la sua oggettività,integrità e distacco).
Il cliente, inoltre, deve essere edotto in anticipo sul grado di complessità dell’incarico che si sta affidando all’avvocato, sugli oneri e sulle tempistiche prevedibili (tutto ciò in forma scritta).
Il preventivo, inoltre, deve essere strutturato in scaglioni (studio della controversia, fase introduttiva dal giudice, istruttoria, decisionale, studio introduttivo fase esecutiva, istruttoria e trattazione procedimento esecutivo), affinché, se la causa si chiudesse prima della sentenza, all’avvocato sia liquidabile solo il preventivo alla fase di chiusura della causa.
Il gratuito patrocinio, ovvero le spese legali a carico dello Stato, è un diritto attribuito nel caso in cui il reddito famigliare (o comprensivo di quello del convivente) sia inferiore ad una soglia rivista periodicamente. Sulla concessione del gratuito patrocinio decide il Consiglio dell’Ordine, nelle materie civili, o il Tribunale, in quelle penali.
Infine, in caso di mancato pagamento, o impossibilità dello stesso, l’avvocato può anche pretenderlo dalla controparte.