A differenza della separazione, con la quale si sospendono gli effetti del matrimonio ma non si perde la qualità di coniuge, il divorzio ha una moltitudine di effetti definitivi, soprattutto legali.
Uno di questi è la perdita, per la moglie, del cognome del marito: i coniugi riacquistano lo status libero. La questione non si pone di frequente in quanto, di solito, a seguito di un divorzio entrambe i coniugi sentono l’esigenza di iniziare una nuova vita: ma se ne fa richiesta, la moglie può conservare il cognome del marito?
Tale situazione, che necessita comunque di bilanciare l’interesse della moglie a conservare il cognome dell’ex coniuge con quello del marito che potrebbe voler creare una nuova famiglia, si pone nel caso di cognomi “importanti” quali quelli di persone che godono di notorietà e stima.
In questo articolo si cercherà di approfondire e chiarire la questione.
A disciplinare la materia è l’art. 143 bis del codice civile, il quale stabilisce che “l’aggiunta del cognome maritale è un effetto del matrimonio circoscritto temporalmente alla perduranza del rapporto di coniugio”.
Tale assunto è derogabile ma rimesso alla discrezionalità del giudice di merito e presuppone che vi sia un interesse dell’ex coniuge o dei figli meritevole di tutela. La legge, tuttavia, non spiega quale sia l’interesse da considerare tale.
La Cassazione (n. 3869 dell’8 febbraio 2019) ha stabilito che non si può trattare di semplice fama e notorietà del marito, in quanto la conservazione del cognome di questo avrebbe il solo scopo di continuare a godere dei privilegi e dei benefici legati ad un dato nome.
La questione è stata recentemente riportata all’attenzione della Corte di Cassazione: nel caso di specie la ricorrente, ex moglie di un chirurgo di fama, ha sostenuto che la decisione da lei impugnata non avesse tenuto conto del fatto che “detto cognome era divenuto parte integrante della sua identità personale, sociale e di vita di relazione della ricorrente, che da oltre 25 anni, ossia ben oltre la metà della sua esistenza, era conosciuta nella città ove vive solo con il cognome dell’ex marito” e non ha considerato “l’assenza assoluta di pregiudizio per il marito dall’utilizzo del cognome di quest’ultimo da parte della ricorrente, persona socialmente stimata e apprezzata”.
La Corte ha analizzato la questione e con ordinanza n. 654 ha stabilito, confermando l’orientamento della Corte di Cassazione del 2019, che la notorietà dell’ex marito non costituisce una ragione sufficiente per conservarne il cognome dopo la pronuncia di divorzio e ha sottolineato che un’eventuale conservazione del cognome è “da considerarsi un’ipotesi straordinaria affidata alla decisione discrezionale del giudice di merito”.
Si può dunque affermare che la fama di un ex marito non è da considerare un interesse meritevole di tutela che consente di derogare all’art. 143 bis del nostro codice civile.
Prima di concludere, però, è interessante osservare quali possono essere i casi con un epilogo differente. La Cassazione con sentenza n. 21706 del 26 ottobre 2015 ha stabilito che “il criterio di valutazione dell’interesse della moglie si deve attenere ad interessi privati e preminenti della persona e che possono assumere rilievo in tal senso, come quelli che riguardano la salute, la vita professionale e gli affari”.
È questo il caso di una donna che, conosciuta nel mondo del lavoro esclusivamente con il cognome del marito, chiede di conservarlo al fine di non subirne uno svantaggio lavorativo ed economico.