Quando si parla di banche, di mutui o prestiti saltano sempre fuori: i tassi.
Ma cosa si intende di preciso quando si parla di ciò? Per l’Enciclopedia Treccani il tasso è l’ “ammontare dell’interesse prodotto dall’unità di capitale in un periodo di tempo convenuto”.
In termini pratici, il tasso di interesse è ciò che le banche chiedono di pagare quando concedono finanziamenti.
I tassi possono essere fissi (rimanere quindi invariati nel tempo durante tutta la durata del rapporto contrattuale, con la conseguenza che anche le rata restano identiche), variabili (mutano, cioè a seconda delle variazioni di un indice di riferimento, usualmente euribor mensile) o misti (per un determinato periodo fissi e per il restante variabile).
Se parliamo di mutui per l’acquisto di immobili, oggi, per la gioia dei mutuatari, i tassi fissi sono davvero molto convenienti (alcuni Istituti di credito sovvenzionano anche mutui dal tasso dell’1,1%). Più basso di così non si può.
Se le banche valutano un richiedente affidabile (oppure garantito da un soggetto meritevole della stessa definizione) e decideranno di accogliere la richiesta di mutuo, il richiedente non potrà ottenere tassi più bassi in futuro: di qui il successo odierno dei tassi fissi.
Infatti oggi non ha più ragione d’essere il tasso variabile. Questo aveva senso quando, un quinquennio di anni fa, i tassi erano al 3/4 %. Il richiedente, sperando in una futura fluttuazione dei mercati, poteva scommettere su un calo della rata (che sarebbe potuta, però, anche aumentare).
Il gioco poteva valere la candela, in quanto anche la rata di un richiedente mutuo 7 anni fa, per esempio, lo esponeva al pagamento di alti interessi.
A ciò si accompagna il calo sostanzialmente eterogeneo dei valori degli immobili.
Le banche, quando concedono mutui, lo fanno a tassi convenienti, così più persone sono portate ad acquistare immobili, quindi la domanda cresce e l’offerta non può che crescere in conseguenza.