Senza ombra di dubbio uno dei passi più complessi alla coesione definitiva dell’Unione Europea è la politica estera, terreno nel quale si palesano le diverse forze centrifughe degli Stati membri che la compongono.
Premettendo che l’UE nasce in seno al Patto Atlantico, che si colloca nettamente più a occidente che ha oriente (più vicina agli Stati Uniti rispetto a quanto lo sia rispetto alla Russia o alla Cina), poi nei vari rapporti bilaterali emergono diverse sfumature.
L’Italia, poco tempo fa, per esempio, ha istituito un patto commerciale direttamente con la Cina, chiamato, un poco poeticamente, “La nuova via della Seta”, ma anche un patto con il precario Stato libico, avente oggetto il trattenimento di parte dei suoi emigranti in cambio di sovvenzioni (attirando anche le critiche di chi lamenta l’inosservanza del rispetto dei diritti umani computo dallo Stato africano a danno dei suoi emigranti). Questi patti sono bilaterali: da una parte l’Italia e dall’altra un Paese estero, l’Unione Europea non ne è parte, ma anzi, parte dei suoi Stati membri, anno ampiamente criticato tale scelta italiana.
Invece, nel caso dei patti con la Turchia, l’Unione Europea, capeggiata dalla Germania, è stata l’autrice protagonista, al fine di, anche questa volta, trattenere i migranti in arrivo in Europa.
In questo marasma di fughe in avanti, iniziative dei singoli Paesi membri, prese di posizione in aperto contrasto con la politica unitaria (come nel caso, per esempio, della mancata rivoluzione venezuelana e le diverse letture date al fenomeno Maduro-Guaidò, definito, quest’ultimo, liberatore da alcuni e violento rivoltoso da altri) ci si chiede legittimamente se esista un terreno comune di politica estera facente capo all’Unione Europea.
Sulla carta la risposta è si.
In particolare sui Trattati Fondamentali dell’Unione Europea è previsto che nelle materie a lei attribuite la stessa Unione possa concludere accordi con Paesi terzi, vincolanti, ovviamente, per tutti i suoi Stati membri.
La procedura prevede che la Commissione invii raccomandazioni al Consiglio (organo rappresentativo dei singoli Stati membri, composto dai suoi primi ministri), il quale deve decidere se dare avvio ai negoziati. A questo punto i negoziatori nominati dovranno preparare l’accordo e portarlo al Consiglio per l’eventuale ratifica.
Nel caso in cui Stati membri (la maggioranza del Parlamento), la Commissione, il Parlamento Europeo lamentino problematiche di compatibilità tra accordo e normativa europea, potranno rivolgersi alla Corte di Giustizia UE per ottenere un parere sull’interpretazione dell’accordo.
Infine vige un cosiddetta “clausola di solidarietà”: non esistendo un esercito comune, in caso di attacco terroristico o calamità, tutti gli eserciti d tutti gli Stati membri sono onerati dall’obbligo di difendere le istituzioni democratiche dei singoli Paesi membri.