Lo hanno stabilito i giudici della Corte di cassazione con la sentenza n. 11429 del 2011.
Lo stalking, secondo i Supremi Giudici, si può definire anche “giudiziario” e ugualmente punibile ai sensi dell’articolo del codice penale che riguarda i classici “atti persecutori” (art. 612 bis).
Nel caso specifico, un avvocato aveva adito la Cassazione per opporsi ad una decisione del suo Consiglio dell’Ordine, che lo sospendeva cautelativamente per aver intentato 39 cause contro un totale di 4 persone negli ultimi 10 anni. L’esito cautelare del procedimento disciplinare era stato un anno di sospensione dall’esercizio dall’attività professionale, contestato dal legale che lamentava l’impossibilità del sostenimento, essendo la professione la sua unica fonte di reddito.
I giudici hanno respinto fermamente le istanze dell’avvocato. La Cassazione ha applicato al caso de quo il reato previsto all’art.612 bis c.p., ovvero il così detto reato di stalking, che punisce: “Chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita”.
Secondo gli Ermellini, infatti, lo stato d’ansia proprio del suddetto reato può ben essere configurato da un avvocato spregiudicato, che dando seguito a cause pretestuose, può realizzare condotte nefande per chi le subisce, tanto da potersi qualificare propriamente come molestie.