Rigida regolamentazione impedisce all’avvocato di poter svolgere una seconda occupazione.
Una delle ratio principali della deontologia forense è, infatti, quella di garantire nel legale, una figura indipendente e imparziale.
Un avvocato, infatti, deve essere terzo rispetto alle Autorità, ma anche rispetto all’assistito, in maniera da poter essere oggettivo nei consigli offerti e nella sua difesa.
Ogni attività che possa minarne l’indipendenza o l’imparzialità è quindi a lui preclusa.
Per questo l’avvocato non può svolgere lavoro subordinato sia privato (in quanto non sarebbe indipendente nei confronti del datore di lavoro pagante) sia pubblico (in questo caso, infatti, non sarebbe più indipendente rispetto allo Stato).
Nella pratica, se l’avvocato potesse essere anche dipendete e questo dovesse difendere un soggetto “nemico” del suo datore di lavoro (sia esso un’impresa o lo Stato) è evidente che non potrebbe essere un difensore fedele e imparziale.
Secondo questo principio si sono sviluppate tutta una serie di incompatibilità, che potranno essere denunciate agli Ordiniforensi, ove i Consigli irrogheranno le sanzioni proporzionali alla gravità-conflittualità d’interesse dimostrata dall’avvocato denunciato.
Tra queste, dicevamo, un avvocato non può esercitare la professione notarile né qualsiasi attività commerciale. Un avvocato, inoltre, non può essere socio illimitatamente responsabile o amministrare società di persone che svolgano attività commerciali, né amministratore unico o consigliere delegato in società di capitali. All’avvocato è anche preclusa la possibilità di gestire, in senso lato, attività con fine di lucro, né essere lavoratore dipendente, come dicevamo, anche se solo sottoposto a contratto di lavoro par-time.
Non sono precluse, invece, le seguenti attività, perché le si ritiene non inficianti l’autonomia/indipendenza di un legale. Questo, difatti, può essere un professore, un commercialista, un amministratore di condominio, un consulente del lavoro, ma anche un giornalista o uno scrittore.
Inoltre, in casi di crisi societarie, l’avvocato può diventare curatore fallimentare o persino liquidatore delle medesime società.
Queste limitazioni sono senz’altro condivisibili dal punto deontologico, anche per preservare la buona immagine dell’avvocato; vero è che si scontrano con un mestiere che non è più quello di vent’anni fa, ove ogni preclusione equivale a una porta chiusa in faccia al legale che, soprattutto se giovane o alle prime armi, può davvero trovare difficoltà anche solo a mantenersi con gli introiti derivanti dalla sola professione forense, praticamente l’unica che può essere praticata.