La Responsabilità del pubblico dipendente.

in Diritto Amministrativo

E necessario partire dall’analisi del regime delle responsabilità in generale che incombono sui dipendenti delle pubbliche amministrazioni e che traggono supremo fondamento normativo dall’art. 28 della Costituzione che così testualmente recita:

I funzionari e i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici sono direttamente responsabili, secondo le leggi penali, civili e amministrative, degli atti compiuti in violazione di diritti. In tali casi la responsabilità civile si estende allo Stato e agli enti pubblici”.

Dal dettato costituzionale emerge che qualora un pubblico dipendente nello svolgimento del servizio ovvero nell’ambito dei suoi cosiddetti “doveri d’ufficio” mette in atto comportamenti, anche omissivi, lesivi di diritti di “terzi”, è passibile, a secondo della specificità del caso, di imputazione di responsabilità penale, civile o amministrativa di cui è chiamato a rispondere, relativamente alla concreta fattispecie attiva o omissiva, penalmente, civilmente, amministrativamente rilevante.

Dalla dottrina e dalla giurisprudenza è stato ampiamente evidenziato come da uno stesso atto, individuato quale “fatto generatore”, possano derivarne, talvolta anche contestualmente, le seguenti tipologie di responsabilità: penale, per il reato commesso; civile, per danno arrecato a un “terzo”; amministrativo (patrimoniale-contabile), per danno arrecato all’erario; dirigenziale; disciplinare, per infrazione agli obblighi di servizio.

Qualora gli atti sono stati assunti a seguito di una deliberazione collegiale, la responsabilità è imputata, in solido, ai componenti dell’organo collegiale che l’hanno votata, con ovvia esclusione di coloro che hanno espresso voto contrario e/o che hanno fatto rilevare il proprio motivato dissenso nel verbale della seduta. (art. 24 del T.U. 3/57 / art. 1,c. 1-ter della Legge 20/1994).

Per quanto attiene alla responsabilità penale vi è da sottolineare che questa è connessa ad un fatto illecito che la legge qualifica come “reato”, ed in base al primo comma dell’art. 27 della Costituzione essa è sempre ed esclusivamente di natura personale. In proposito è opportuno ricordare che il nostro ordinamento giuridico in materia penale si conforma al principio espressamente sancito dal secondo comma dell’art. 27, secondo il quale “L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva”, vale a dire fino all’esperimento di tutti i gradi di giudizio, all’esito dei quali la sentenza si qualifica come “passata in giudicato”.

L’art. 39 del Codice Penale (Titolo III, Capo I) distingue i reati in delitti e contravvenzioni, a seconda delle diverse pene per essi rispettivamente stabilite dal codice penale stesso; reclusione e/o multa per i primi; arresto e/o ammenda per le seconde.

La responsabilità penale dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, tenuto conto delle specifiche connotazioni del rapporto di pubblico impiego (pubblico ufficiale: art. 357; incaricato di pubblico servizio: art. 358; abuso d’ufficio: art. 323; ritardo o omissione di atti d’Ufficio: art: 328), si configura in modo del tutto peculiare, complessivamente ridefinito dalla legge 26.4.1990, n. 86 e dalla legge 7.2.1991, n. 181.

Successivi interventi legislativi hanno introdotto alcune specifiche modifiche in tema di sospensione dal servizio, e sul rapporto tra sentenze penali e procedimenti disciplinari; materia – quest’ultima – sulla quale sono recentemente intervenute la legge 15/2009 e il D.L.vo 150/2009 (“Brunetta”).

La responsabilità civile consiste invece nel dovere giuridico di risarcire il danno conseguente alla lesione di un interesse altrui. In dottrina viene normalmente evidenziata la distinzione tra responsabilità contrattuale ed extra-contrattuale.

La responsabilità “contrattuale” insorge quando l’obbligo del risarcimento del danno deriva dalla violazione di un obbligo derivante da un preesistente contratto o dalla legge nei confronti di un soggetto previamente determinato. Questa tipologia si fonda sull’art. 1218 del codice civile: “Il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno, se non prova che l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile”. La responsabilità extracontrattuale – detta anche “aquiliana” – insorge invece quando un soggetto, in violazione del principio del neminem laedere, provoca ad altra persona un danno ingiusto, con conseguente obbligo al risarcimento del danno stesso.

Questa seconda tipologia si fa risalire all’art. 2043: “Qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno”.

L’impiegato delle Amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, è tenuto a risarcire alle amministrazioni stesse i danni derivanti da violazioni di obblighi di servizio.

Se l’impiegato ha agito per un ordine che era obbligato ad eseguire va esente da responsabilità, salva la responsabilità del superiore che ha impartito l’ordine. L’impiegato, invece, è responsabile se ha agito per delega del superiore.

La responsabilità amministrativa denominata anche “patrimoniale” o “contabile” insorge allorché l’inosservanza di obblighi di servizio procura un danno patrimoniale all’Amministrazione.

Il danno patrimoniale può essere “diretto”, qualora incida direttamente sul bilancio o sul patrimonio dell’Amministrazione, ovvero “indiretto” se il comportamento del dipendente abbia comportato per l’Amministrazione l’obbligo del risarcimento di un terzo estraneo.

Un’ulteriore tipologia di responsabilità patrimoniale si verifica nel caso in cui dalla condotta del dipendente sia derivata una lesione all’immagine dell’Amministrazione determinando un giudizio negativo sul suo prestigio e affidabilità.

È una fattispecie, questa che rileva anche in sede disciplinare in seguito al venir meno di quel cosiddetto “rapporto fiduciario” tra l’utenza e la pubblica amministrazione.

Una particolare forma di responsabilità patrimoniale è quella “contabile” che si riferisce a coloro che per ragioni d’ufficio sono titolari di funzioni contabili riferite, cioè, alla gestione di risorse finanziarie e beni dell’Amministrazione.

La responsabilità patrimoniale/contabile, sulla quale giudica la Corte dei conti all’esito della procedura promossa dalla Procura regionale, esige la sussistenza del “dolo” o della “colpa grave”.

È bene tener presente che per “dolo” si intende la condizione psicologica/soggettiva del dipendente che ha la piena e diretta consapevolezza di provocare, con il suo comportamento, un danno all’Amministrazione.

La “colpa”, invece, si materializza quando nell’azione del dipendente si ravvisa negligenza o imprudenza o imperizia.

In tali casi la gravità o meno della colpa è rilevata dal Giudice contabile, tenendo presente le circostanze concrete dello scostamento del comportamento (attivo od omissivo) dalle regole che si sarebbero dovute seguire.

Bibliografia

  • GUIDO ZANORBINI,Principi generali di diritto amministrativo, Giuffrè, Milano, 1958.
  • DOMENICO TRAMONTANA, Diritto amministrativo, Cedam, Milano. 2010