Gli avvocati devono essere retribuiti a prescindere dal risultato che ottengono sia in via giudiziale che stragiudiziale. Sembra banale ricordarlo ma non lo è: l’obbligazione che si sottoscrive quando ci si affida a un legale è chiamata di “mezzo”; consiste nell’impegno a perorare la causa del cliente con la massima professionalità e impegno, e già solo per questo si produce un’attività che onera il cliente al pagamento del dovuto, anche se poi, concretamente, l’avvocato non riuscisse ad ottenere il beneficio richiesto dallo stesso cliente.
Analogo discorso lo si fa con i medici: il medico si obbliga a curare con professionalità ed attenzione; la sua retribuzione dipende da questo e non già dall’effettiva guarigione riscontrabile nel paziente.
Il suddetto principio è pacifico sia in giurisprudenza che in dottrina, che ha diviso, come dicevamo, le obbligazioni in “obbligazione di mezzo” e “obbligazioni di risultato” (tra queste, tutte quelle incarnate da un do ut des, ove ad una prestazione definita ne dipende un’altra; è il caso della compravendita, per esempio, nella quale se il venditore non cede il bene oggetto del contratto il compratore è legittimato a non pagare la prestazione).
Il principio secondo il quale il lavoro di un avvocato deve essere retribuito a prescindere dal risultato è così riassumibile: nessuna causa è certa, indi per cui subordinare il pagamento del compenso al legale esclusivamente in caso di esito positivo della vicenda giudiziaria contiene certamente una quota di aleatorietà che mal si concilia con l’obbligo di retribuzione del lavoratore. Proprio quest’ultimo punto risulta essere fondamentale: a nessuno può essere imposta un attività senza ricevere compenso, a meno che sia lo stesso soggetto a volerla concedere.
Una recentissima sentenza del TAR del Lazio n. 11411/2019, ha tuttavia parzialmente ribaltato tale caposaldo. La vicenda riguardava un bando emesso dal Ministero dell’Economia e della Finanza in cui si cercavano avvocati per una collaborazione a titolo gratuito avente ad oggetto l’adeguamento della normativa interna ai regolamenti e alle direttive comunitaria.
Uno studio legale romano è così ricorso avverso tale gara ad evidenza pubblica al TAR, lamentando la violazione di diverse disposizioni costituzionali e ordinarie, prime fra tutte quella dell’equo compenso. Il TAR, tuttavia non ha rilevato l’illegittimità del bando emanato dal MEF, considerando pienamente legittima la proposta di collaborazione gratuita indicata dal Ministero.
Secondo i giudici amministrativi, infatti, in alcuni casi l’avvocato può lavorare a gratis per la pubblica amministrazione. Il contenuto del bando, infatti, era troppo generico e la prestazione indicata troppo occasionale per poter rientrare in un rapporto retribuibile. Inoltre il libero professionista può sempre scegliere se e quando prestare una consulenza gratuita, soprattutto nel caso oggetto di causa, ovvero quello di una collaborazione con il Ministero.