Con le sentenza numero 27985/2019 la Corte di Cassazione ha concluso definitivamente una triste e annosa vicenda avvenuta in ambito scolastico svariati anni prima.
I fatti oggetto della causa definitivamente passata in giudicato riguardavano la vicenda di un giovane, iscritto al secondo anno di liceo scientifico, che aveva appreso tramite l’esposizione dei quadri riportanti gli esiti degli scrutini di fine anno, la sua non ammissione alla scalasse successiva.
Il Ministero dell’Istruzione Università e Ricerca, nell’espletamento di procedure analoghe, con l’ordinanza 90/2001 prescrive alle varie Istituzioni Scolastiche, la necessità di informare previamente le famiglie del non ammesso, allo scopo di consentire un “filtro” ad opera della famiglia stessa nella venuta a conoscenza della non promozione. Tale premura si raccomanda ancora più necessaria in considerazione della personalità mutevole e irruente tipica di un soggetto minorenne e adolescente.
Tale premure, tuttavia, non era stata adottata nel caso concreto, e il giovane, dopo aver preso atto dell’inattesa bocciatura, alla presenza di tutti i suoi compagni di classe e di istituto, si recava a casa dell’insegnante presso il quale prendeva ripetizioni e ingeriva il contenuto di un flacone altamente velenoso che causava la morte del ragazzo stesso.
I genitori facevano dunque causa al MIUR, ritenendo che se la comunicazione fosse effettivamente arrivata, come previsto dalla suddetta circolare emanata dallo stesso Ministero, preventivamente alla famiglia, questa avrebbe potuto intervenire ed evitare il suicidio compiuto dal giovane figlio.
La Cassazione, tuttavia, si è attenuta alla conferma delle precedenti decisioni giudiziali, sia quella di primo che di secondo grado. Secondo i Supremi Giudici, infatti, il suicidio in questione non può essere casualmente imputato all’omessa comunicazione dei vertici scolastici.
Risulta infatti impossibile dimostrare che se la comunicazione fosse diligentemente pervenuta alla famiglia l’evento suicidario non si sarebbe comunque compiuto.
Inoltre, applicando il principio di causalità specifica, così come previsto agli artt. 40 e 41 del c.p. e come interpretato da consolidata giurisprudenza e dottrina, si riscontra come la condotta di uno studente che a fronte di una bocciatura decida di togliersi la vita non può rientrare nella “regolare causalità”, in quanto la norma violata dall’Amministrazione scolastica non può considerarsi atta a impedire tali tragici eventi. Al contrario, l’ordinanza Ministeriale 90/2001 ha come scopo solo quello di consentire “una adeguata preparazione dal minore alla notizia della bocciatura attraverso il filtro dei genitori”.