Il reato di appropriazione indebita è previsto all’art. 646 c.p. e prevede che: “Chiunque, per procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, si appropria il denaro o la cosa mobile altrui di cui abbia, a qualsiasi titolo, il possesso, è punito, a querela della persona offesa, con la reclusione da due a cinque anni e con la multa da euro mille a euro tremila.“
Stiamo trattando di un delitto, punibile a querela di parte, istantaneo, di danno e contro i privati.
Infatti, la fattispecie tutela il bene giuridico del patrimonio privato, è un reato comune, in quanto può essere commesso da chiunque e richiede, per essere configurato, il dolo generico.
L’oggetto di appropriazione deve essere cosa mobile altrui o denaro. Da qui il grande problema interpretativo. I beni immateriali, quali l’energia o i file audio o informatici, per esempio, possono essere oggetto di appropriazione indebita?
La Corte Suprema era sempre stata di parere sfavorevole, ritenendo che un bene, per poter subire un “appropriamento altrui” deve avere materialità. Solo da questo deriva, infatti, la possibilità di detenere un bene, sottrarlo e possederlo, tutte condotte che riconducono al reato in analisi. Per tale ragione le informazioni, le opere d’ingegno e le idee non potevano essere oggetto del reato di appropriazione indebita.
La Cassazione, tuttavia ha ribaltato la precedente corrente nettamente maggioritaria, intervenendo con la sentenza 11959/2020, emessa dalla seconda sezione penale. In realtà è stata posta una distinzione tra i file informatici e tutti gli altri oggetti immateriali sopra menzionati. I Giudici, infatti, hanno ritenuto possa affermarsi che i files “pur non potendo essere materialmente recepiti dal punto di vista sensoriale, possiedono una dimensione fisica costituita dalla grandezza dei dati che lo compongono, come dimostrano l’esistenza di unità di misurazione della capacità di un file di contenere dati e la differente grandezza dei supporti fisici in cui i file possono essere conservati e elaborati”.
La Corte, in considerazione del valore economico/patrimoniale del file oltre che della sua utilizzabilità, ha ritenuto possa essere ricompreso tra i beni materiali, quasi possa riconoscersi una “fisicità” ai dati di cui è composto.
Per tali ragioni è stato condannato un ex impiegato presso una società, che dopo il licenziamento aveva trasferito i files di cui era in possesso all’impresa rivale che lo aveva assunto.
Attenzione massima, dunque, a questa nuova sentenza che ha adattato la legge allo sviluppo scientifico, e al conseguente cambiamento del senso comune, come più volte a caldeggiato anche la Corte Costituzionale.