Sull’onda di un’iniziativa popolare risalente agli anni 2010, nel 2016 il Parlamento Italiano ha introdotto l’articolo 589-bis c.p., intitolato “omicidio stradale” e il cui testo lungo testo cita tali parole: “Chiunque cagioni per colpa la morte di una persona con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale è punito con la reclusione da due a sette anni.
Chiunque, ponendosi alla guida di un veicolo a motore in stato di ebbrezza alcolica o di alterazione psico-fisica conseguente all’assunzione di sostanze stupefacenti o psicotrope ai sensi rispettivamente degli articoli 186, comma 2, lettera c), e 187 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, cagioni per colpa la morte di una persona, è punito con la reclusione da otto a dodici anni.
La stessa pena si applica al conducente di un veicolo a motore di cui all’articolo 186-bis, comma 1, lettere b), c) e d), del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, il quale, in stato di ebbrezza alcolica ai sensi dell’articolo 186, comma 2, lettera b), del medesimo decreto legislativo n. 285 del 1992, cagioni per colpa la morte di una persona.
Salvo quanto previsto dal terzo comma, chiunque, ponendosi alla guida di un veicolo a motore in stato di ebbrezza alcolica ai sensi dell’articolo 186, comma 2, lettera b), del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, cagioni per colpa la morte di una persona, è punito con la reclusione da cinque a dieci anni.
La pena di cui al comma precedente si applica altresì:
1) al conducente di un veicolo a motore che, procedendo in un centro urbano ad una velocità pari o superiore al doppio di quella consentita e comunque non inferiore a 70 km/h, ovvero su strade extraurbane ad una velocità superiore di almeno 50 km/h rispetto a quella massima consentita, cagioni per colpa la morte di una persona;
2) al conducente di un veicolo a motore che, attraversando un’intersezione con il semaforo disposto al rosso ovvero circolando contromano, cagioni per colpa la morte di una persona;
3) al conducente di un veicolo a motore che, a seguito di manovra di inversione del senso di marcia in prossimità o in corrispondenza di intersezioni, curve o dossi o a seguito di sorpasso di un altro mezzo in corrispondenza di un attraversamento pedonale o di linea continua, cagioni per colpa la morte di una persona.
Nelle ipotesi di cui ai commi precedenti la pena è aumentata se il fatto è commesso da persona non munita di patente di guida o con patente sospesa o revocata, ovvero nel caso in cui il veicolo a motore sia di proprietà dell’autore del fatto e tale veicolo sia sprovvisto di assicurazione obbligatoria.
Nelle ipotesi di cui ai commi precedenti, qualora l’evento non sia esclusiva conseguenza dell’azione o dell’omissione del colpevole, la pena e’ diminuita fino alla metà. Nelle ipotesi di cui ai commi precedenti, qualora il conducente cagioni la morte di più persone, ovvero la morte di una o più persone e lesioni a una o più persone, si applica la pena che dovrebbe infliggersi per la più grave delle violazioni commesse aumentata fino al triplo, ma la pena non può superare gli anni diciotto.”
Si è tuttavia più volte posto, nelle fattispecie concrete di applicazione di tale normativa, il caso in cui l’investimento mortale sia causato anche dal pedone stesso, protagonista di condotte imprevedibili e contrarie alla normativa dedicata ai pedoni. Si immagini colui che attraversi la strada non sulle strisce pedonali, o il pedone che prosegue ai margini della corsia, fuori dal marciapiede.
Su tale questione è recentemente intervenuta la Cassazione, con le sentenza 52071/2019 che ha confermato una giurisprudenza nettamente maggioritaria. Il caso vedeva una donna investita mentre camminava sul margine interno della corsia affiancata al marito, da un’altra donna, alla guida di un’automobile, che sopraggiungeva nella stessa corsia di marcia. L’investitrice, condannata nei primi due gradi di giudizio, riteneva la vittima responsabile in quanto l’art.190 del codice della strada prevede che i pedoni debbano camminare in fila e sulla corsia di marcia opposta a quella di percorrenza.
La Corte Suprema, tuttavia, ha confermato le decisioni dei giudici dei gradi inferiori, ribadendo che la decisione definitiva deve prendere in considerazione ciascun caso specifico. Nello specifico, il comportamento tenuto dai due coniugi investiti, pur contravvenendo alle regole sulla circolazione stradale, non ha reso i loro comportamenti imprevedibili. Il guidatore avrebbe dovuto, invece, moderare la velocità, in considerazione della scarsa luminosità, dell’assenza di banchine pedonali ai margini esterni della strada della ristrettezza della carreggiata.
La Cassazione ha ribadito l’ obbligo di attenzione come regola cautelare e prudenziale che si traduce nel porre in atto i necessari accorgimenti da adottare per prevenire eventuali investimenti, prevedendo le comuni situazioni di pericolo. Solo una vera e propria causa eccezionale atipica e imprevedibile, da sola in grado di produrre l’evento, può sollevare da ogni responsabilità il conducente.