Il fenomeno del bullismo.

in Diritto Penale

In un precedente articolo abbiamo trattato il tema del cyber-bullismo, che vi consigliamo di andare a riprendere se vi fosse sfuggito. Ora abbiamo deciso di parlare anche di un tema simile ma allo stesso tempo differente: il bullismo, quale fenomeno da cui il cyber-bullismo ha tratto origine, evolvendosi, se si vuole, ma senza dimenticare che la sua forma primigenia esiste tutt’oggi, con tutte le sue relative problematiche .

Il termine bullismo deriva dalla traslitterazione della parola inglese bullying, (to bull) che significa “usare prepotenza, maltrattare, intimidire, intimorire”. Il bullismo viene definito come una forma di oppressione fisica o psicologica messa in atto da una o più persone (bulli) nei confronti di un altro individuo percepito come più debole (vittima). Si caratterizza per la sua intenzionalità, sistematicità e asimmetria tra i soggetti coinvolti: è intenzionale perché il comportamento aggressivo viene messo in atto volontariamente e consapevolmente, è sistematico perché reiterato nel tempo, in maniera continuativa e persistente, è asimmetrico in quanto si instaura in una relazione interpersonale fondata sulla disuguaglianza di forza e potere (fisico o psicologico).

Da una parte, infatti, si trova il bullo ( in una posizione up, anche perché supportato dagli amici) e la vittima (in posizione down, che sperimenta spesso un senso di impotenza non riuscendo a difendersi).

Il bullismo trova la sua principale collocazione all’interno del contesto scolastico, diffondendosi come fenomeno relazionale che si sviluppa all’interno di un gruppo sociale, solitamente il gruppo classe. Quando si parla di bullismo ci si riferisce ad un insieme di fenomeni che molto spesso non integrano reati punibili secondo il codice penale, ma comportamenti vessatori compiuti tra ragazzi studenti, molte volte non imputabili perché minori di 14 anni, nei luoghi di incontro e raccolta, molto spesso a scuola. Altre caratteristiche specifiche del fenomeno sono le conseguenze psicologiche che contribuisce a creare nella vittima, ovvero il senso di inadeguatezza ed insicurezza, il calo del rendimento scolastico fino, nei casi più gravi, l‟abbandono della scuola, l’abbassamento dell’autostima, l’instaurarsi di comportamenti devianti e difficoltà relazionali. Secondo dati raccolti recentemente, chi subisce atti di bullismo è esposto al rischio di suicidio con una probabilità doppia rispetto ai coetanei: il 10% tenta di togliersi la vita, il 30% compie atti di autolesionismo. Il bullismo è un fenomeno relazionale, dinamico e multidimensionale, che coinvolge non solo il bullo e la vittima, ma con ruoli diversi, anche i cosiddetti spettatori, ovvero gli amici e gli altri compagni di classe.

La letteratura scientifica su tale argomento suggerisce di considerare il bullismo non come una dinamica centrata esclusivamente sulle azioni del bullo o sul rapporto bullo/vittima, bensì come una distorta dinamica relazionale di gruppo senza la quale il bullo non potrebbe agire ed attraverso la quale, invece, si genera una cultura basata sulla prevaricazione. Sono stati così individuati due tipi di ruoli che rivestirebbero i membri di un gruppo che assistono a fenomeni di bullismo: i “sostenitori”, coloro che incitano il bullo, alcuni perché temono di diventare loro stessi vittime, altri per divertimento sadico personale, e gli “astanti”, che rimangono neutrali durante gli episodi di prevaricazione e solo raramente intervengono per difendere la vittima.

Sono inoltre stati individuati alcuni fattori di rischio che influenzano l‟incidenza del fenomeno: le relazioni familiari, il temperamento, le caratteristiche fisiche (spesso essere fisicamente forti incentiva i comportamenti vessatori dei possibili bulli; all’opposto avere difetti fisici, come portare gli occhiali o essere in sovrappeso, aumenta le possibilità di diventare vittima di bullismo). Disabilità fisica, peso corporeo, orientamento sessuale, religione e appartenenza etnica sarebbero tra le caratteristiche che maggiormente spingono il bullo ad agire. In 9 casi su 10 la vittima è di nazionalità italiana; il bullismo parrebbe, dunque, non essere legato al razzismo.

Le forme di devianza dei bulli sono inevitabilmente legate alla sfera delle relazioni sociali e le condotte sono quasi sempre inadeguate rispetto alle aspettative della comunità sociale di cui, tuttavia, questi ragazzi continuano a far parte. Alla visione del mondo causata da un eccesso dell’io sono riconducibili gran parte dei comportamenti che si manifestano con la disobbedienza, passando per le diverse forme di aggressività, di mancanza di responsabilità e di autocontrollo, sino alla ribellione ed alla violenza.Il 15 settembre del 2015 la Onlus Telefono Azzurro ha presentato i dati di una ricerca sul fenomeno del bullismo. Secondo tale studio solo 1 minore su 5 che subisce bullismo informa gli adulti, dato ancora più allarmante se si considera che, nonostante ciò, quasi ogni giorno in Italia c’è una famiglia che si rivolge al Telefono Azzurro in cerca di aiuto e consiglio proprio a causa del bullismo subito dal proprio figlio.

Secondo l’ultima indagine effettuata da Telefono Azzurro e Doxa Kids su un campione di 1.500 adolescenti e ragazzi delle scuole secondarie il 34,7% degli intervistati ha ammesso di essere stato vittima di bullismo, il 67,9% nel contesto scolastico. Il dato non si discosta da quello internazionale: tutti i giorni 160.000 adolescenti non vanno a scuola per le vessazioni subite e ogni anno più di tre milioni affrontano umiliazioni e minacce. Anche in Italia la maggior parte dei casi segnalati da febbraio a luglio sono avvenuti a scuola (74,8%). Altra ricerca sul fenomeno e sulla sua incidenza sulla psiche del minore è stata condotta nel 2013 nell’ambito dello Europe Anti-Bullying Project (che ha coinvolto sei Paesi europei tra cui l‟Italia). Questo studio ha rilevato che su un campione rappresentativo di 5.042 studenti italiani tra i 12 e i 18 anni, il 15,9% è vittima di bullismo o cyber-bullismo. I dati della ricerca sottolineano che in più di 1 caso su 4 si tratta di bambini con meno di 10 anni, ma non sono rari i casi in cui le vittime hanno anche meno di 6 anni.

Le vittime e gli autori di bullismo e di cyber-bullismo sono, in percentuali simili, sia maschi sia femmine; dato che contrasta quello riguardante la criminalità vera e propria, dove le femmine che hanno commesso reati sono molto meno numerose dei maschi. Mentre i minori di sesso maschile sono a rischio di subire atti di bullismo prevalentemente in età preadolescenziale (il 56,3% delle richieste di aiuto, con un calo significativo dopo i 15 anni, quando le richieste scendono al 15,5%), per le femmine il rischio di subire bullismo non si abbassa mai, rimanendo costante il numero delle richieste di intervento, a prescindere dalla crescita della giovane.

Altro problema strettamente legato al bullismo è la sua “valenza” attribuita a livello sociale. Talvolta un atto di bullismo viene recepito dalla collettività, o da una parte di essa, come scherzo o gioco. Nonostante la collettività riconosca il bullismo e ritenga giusto punirlo e contrastarlo, spesso i diretti interessati, i soggetti puniti per le loro condotte, e anche le loro famiglie, non ritengono giuste le punizioni e il far rientrare quanto compiuto entro la definizione di “bullismo”. Si sviluppano così diversi fenomeni di disimpegno morale, quali il così detto etichettamento eufemistico, attraverso il quale si dà all’azione compiuta un senso migliorativo, accusando di persecuzione ingiustificata le autorità, o quale il diniego del danno, sottovalutando le conseguenze del proprio agire. Questo atteggiamento è particolarmente grave se sostenuto anche dalla famiglia, in quanto non permette al minore di capire il suo errore ma, al contrario, accresce in lui un senso di paranoica e ingiusta persecuzione.

Risulta necessario, infine, quando si tratta con il fenomeno del bullismo un capovolgimento della visione classica: il bullo non deve essere considerato come “il cattivo che va soltanto punito”, ma come colui che sta esprimendo una difficoltà, di qualsiasi natura essa sia. Il suo comportamento va pertanto contestualizzato e interpretato anche come una possibile richiesta d’aiuto. I bulli devono, come tutti i minori devianti, essere ascoltati, mostrato loro le reali conseguenze lesive degli atti compiuti, per evitare che ne commettano altri. Far loro interiorizzare il motivo per cui è sbagliato compiere un atto di vessazione risulta, in definitiva, maggiormente efficace della punizione in sé.

Bibliografia

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