Importanti novità per i nuovi contratti di locazione (perfezionati dal primo gennaio 2020 in poi) che vedano il conduttore non pagare il canone a cui lui stesso si è obbligato.
Attualmente la normativa fiscale in tale proposito prevede che, in caso di inquilino moroso, il proprietario dell’immobile potrà non dichiarare le entrate derivanti dalla mancata riscossione dei canoni locatizi, ai fini del pagamento dell’IRPEF, solo in seguito ad un intervento del giudice che dichiari effettivamente moroso il locatore e lo condanni di conseguenza allo sfratto.
La norma in questione è riportata all’articolo 26 del Tuir (testo unico delle imposte sui redditi), il quale prevede che il reddito dei fabbricati vada dichiarato indipendentemente dalla percezione di un reddito effettivo. Nello specifico, nel caso in cui un inquilino moroso, che sia conduttore di un immobile ad uso abitativo (appartamenti, case indipendenti, bungalow…) non paghi il canone, tale canone, effettivamente non percepito, concorre comunque a formare la base imponibile dal momento della conclusione del contratto di locazione alla conclusione del procedimento di sfratto convalidato dall’autorità giudiziaria.
In altre parole, il proprietario di un immobile concesso ad uso abitativo, che subisca il mancato pagamento del conduttore, dovrà ugualmente continuare a pagare la tasse sui canoni non riscossi, fino alla sentenza di sfratto pronunciata dal giudice.
Il decreto così detto Crescita (decreto legge 34/2019, convertito nella legge 58/2019) all’artico 3-quinques interviene in materia, rendendo più semplice la procedura per comunicare all’erario che non si sta già percependo il canone locatizio a cui si ha diritto, a causa della morosità dell’inquilino, anticipando il momento in cui si può non pagare l’IRPEF su tale entrata mancata.
Non sarà, infatti, più necessario attendere la sentenza giudiziaria, ma sarà sufficiente, ai fini della relativa esenzione fiscale, l’intimazione di sfratto o l’ingiunzione di pignoramento.
Nulla la norma prevede sugli immobili locati ma non ad uso abitativo (terreni, negozi, uffici…). Il legislatore continua, come già nella precedente normativa, a non regolarli in maniera analoga a quanto previsto per i locali ad uso abitativo, creando un vuoto che ad oggi non è stato ancora colmato.