Abbiamo già trattato in un precedente articolo il tema del percorso di adozione necessario per i soggetti che intendano far entrare nella loro vita un figlio che biologicamente non è il loro.
Abbiamo visto, quindi, i limiti di età ed i requisiti che devono avere genitori e figli oltre che i due principali procedimenti adottivi: l’ordinario e lo speciale.
Per entrambe le procedure è necessaria, a monte, la dichiarazione giudiziale di abbandono del minore, la quale giustifica la successiva dichiarazione di adottabilità dello stesso. Tra i requisiti al momento vigenti in capo ai futuri genitori troviamo il vincolo del coniugio a legarli da almeno tre anni ed una differenza di età sussistente tra adottanti e adottato non inferiore ai 18 anni e non superiore ai 45.
Tali limiti, tuttavia, possono essere superati attraverso il procedimento adottivo straordinario, introdotto dalla legge 184/1983. Tale norma permette l’affidamento, e successivamente l’adozione, anche a quei soggetti che non potrebbero ottenerli, in quanto carenti dei requisiti poc’anzi esposti, ma nei casi nei quali sia necessario per la tutela del minore stesso.
Come interpretato anche dalla Cassazione, si applica l’articolo 44, comma 1, lettera d), della legge 184/83 che, «integra una clausola di chiusura del sistema, intesa a consentire l’adozione tutte le volte in cui è necessario salvaguardare la continuità affettiva ed educativa della relazione tra adottante ed adottato (…) come elemento caratterizzante del concreto interesse del minore a vedere riconosciuti i legami sviluppatisi con altri soggetti che se ne prendono cura».
Nel caso de quo, un’infermiera pediatrica si è occupata dalla nascita di un giovane paziente,affetto da gravi patologie che gli impedivano di tenere una vita autonoma e indipendente.
La donna non avrebbe avuto i requisiti per poter adottare il giovane, in quanto single, aveva più di 45 anni di differenza di età rispetto al piccolo paziente i cui genitori erano viventi e non consenzienti alla richiesta di adozione intrapresa dall’infermiera.
Di diverso avviso, come si anticipava, la Corte di Cassazione, che con l’ordinanza 17100/2019 ha confermato un precedente indirizzo giurisprudenziale, oramai ampiamente condiviso.
Nello specifico i Supremi Giudici hanno ribadito gli esiti giudiziali raggiunti dalla Corte di Appello di Napoli. Quest’ultima aveva concesso l’affidamento speciale alla donna in quanto, in seguito ad una perizia specialistica, aveva ritenuto deceduti i genitori naturali, giudicati “del tutto inadatti al ruolo genitoriale” poichè avevano allontanato il figlio a pochi mesi dalla nascita.
Accertata l’impossibilità della famiglia di origine di svolgere in alcun modo il proprio ruolo, la Cassazione ha valutato che la via per assicurare al minore la tutela del proprio interesse fosse accogliere l’istanza della donna che, quotidianamente, ormai da circa dieci anni, si è occupata personalmente del piccolo nel contesto di un affidamento, che poteva essere trasformato in adozione, a prescindere dalla sussistenza dei requisiti posseduti da quest’ultima.