In pochi sanno che quando si contrae un debito, poi non è sufficiente il pagamento imposto, ma ci sono una serie di regole, che tendono alla tutela del creditore, che limitano e circoscrivono le modalità con le quali il debitore deve adempiere a tali obbligazioni.
Tra tali limiti, uno dei più rilevanti è sicuramente l’utilizzo di una valuta che ha corso legale in Italia, per l’assolvimento dei debiti contratti nel nostro paese. Il principio sembra chiaro, ma se il debitore si offrisse di pagare solo utilizzando la moneta del suo paese di provenienza? E se tale moneta fosse affidabile, si pensi al dollaro o alla sterlina, il creditore avrebbe lo stesso diritto di rifiutare il pagamento che avrebbe nei confronti del debitore che avesse offerto il pagamento utilizzando una moneta meno affidabile, si pensi alla lira africana, o magari a quella sud-americana? E se invece il debitore offrisse pagamento in una qualche valuta virtuale (si pensi al bitcoin, che tanto sta avendo successo in questo periodo) il creditore potrebbe rifiutarla allo stesso modo dei casi precedenti?
In linea di principio si: il creditore che risulti titolare di un credito contratto in Italia ha il diritto di essere pagato con la sola valuta riconosciuta dallo Stato. Il diniego di ricevere pagamenti dal debitore in dollari, lire africane o bitcoin è ugualmente legittimo ai sensi dell’art. 1277 c.c., che espressamente prevede: “I debiti pecuniari si estinguono con moneta avente corso legale nello Stato al tempo del pagamento e per il suo valore nominale. Se la somma dovuta era determinata in una moneta che non ha più corso legale al tempo del pagamento, questo deve farsi in moneta legale ragguagliata per valore alla prima.”
Tale norma è ovviamente derogabile dalla volontà delle parti: il creditore, può ben accettare, infatti, un pagamento in dollari, in considerazione della notoria affidabilità della valuta, così come un più temerario creditore potrebbe anche accettare il pagamento effettuato con una valuta virtuale, a suo rischio e pericolo.
Altro possibile onere a carico del debitore è il mezzo materiale di pagamento. Una volta riconosciuta la valuta avente corso legale nello Stato, ogni tipo di pagamento imposto deve essere obbligatoriamente accettato dal creditore? Dal contante all’assegno circolare? Su questo più delicato punto la giurisprudenza si è divisa piuttosto spesso. Ci sono state sentenze che non hanno riconosciuto l’obbligo in capo al creditore di accettare l’assegno, coniando la così detta “accettazione salvo incasso” (l’accettazione vera e propria interviene a tutti gli effetti in seguito, per scongiurare il rischio di assegni “senza copertura”). Altra giurisprudenza invece ha definito contrario al principio di correttezza e buona fede il comportamento del creditore che rifiuti immotivatamente di accettare un assegno.
La questione è stata superata dagli interventi del legislatore dell’ultimo decennio, che, per aumentare il contrasto all’evasione e al riciclaggio delle somme di denaro, sta generando un sistema sempre più avverso al contante, e sempre più favorevole al giro di capitali in maniera telematica (e tracciabile), tanto che, ad oggi, si può affermare che è assolutamente impossibile per un creditore rifiutare pagamenti non in contanti per somme superiori ai limiti previsti dalla legge.